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Trevor Butterfield: l’intervista esclusiva alla STIC Reunion XVII [seconda parte]

Tra gli ospiti dell’iconica Reunion organizzata dallo Star Trek Italian Club, ormai alla sua diciassettesima edizione, e in presenza dopo due anni, anche l’attore nonché esperto di effetti speciali Trevor Butterfield, che ci ha raccontato la sua esperienza dietro le quinte de L’Impero Colpisce Ancora e Il Ritorno dello Jedi.

Ieri abbiamo rilasciato la prima parte dell’intervista esclusiva, che potete recuperare qui. Ecco a voi, ora, la seconda parte! Un immenso grazie a tutto lo STIC per averci permesso di realizzare questa importante e succosissima intervista.

Seconda parte dell’intervista esclusiva a Trevor Butterfield

Dopo Star Wars, ha lavorato principalmente nel mondo degli effetti speciali, in particolare per Harry Potter. Di cosa si occupava, esattamente?

Trevor Butterfield: Mi occupavo di diversi aspetti. Saltai il primo film in quanto ero impegnato altrove, ma in seguito lavorai a La Camera dei Segreti, Il Prigioniero di Azkaban, Il Calice di Fuoco e infine gli ultimi due. L’esperienza con Harry Potter è durata dal 2001 al 2011, capirà che nel corso di quel periodo ci sono stati degli avanzamenti molto rapidi e importanti nella tecnologia. Nei primi film sospendevamo Harry su dei fili, o utilizzavamo delle imbracature per farlo volare.

Effettivamente, visitando gli Harry Potter Studios e osservando gli oggetti di scena, tra quelli dei primi film e gli ultimi della saga, si nota una consistente differenza.

Trevor Butterfield: Esattamente, questo grazie anche alla computer grafica, utilizzata più negli ultimi film, in quanto col passare degli anni si è fatta più precisa e accurata. Siamo stati molto fortunati in quanto la Warner Bros ha preso in affitto gli Sudios di Leaves per girare tutta la saga di Harry Potter, un film dopo l’altro: per esempio, la Sala Grande non è mai stata smantellata nel corso di quegli anni. A proposito del progresso tecnologico, nei primi film i candelabri della Sala Grande dovevano essere accesi manualmente, mentre nel corso del tempo siamo riusciti a farlo elettronicamente. Invece, quando parliamo di Pinewood per esempio, viene tutto dismesso una volta finita una produzione, per lasciar spazio ad un’altra.

E com’è stato… poter aprire l’Arca?

Trevor Butterfield: Sono contento che me lo abbia chiesto! Tra tutti i soldati, Steven Spielberg si avvicinò a me e a un altro ragazzo, di cui non ricordo il nome e sembra essere sparito nel nulla, e ci disse: “Voi due, scoperchiate l’Arca!” È stato un grande onore, tutto il film è incentrato sull’Arca, e noi abbiamo potuto toccarla! I Predatori dell’Arca Perduta, tra l’altro, è stato uno dei miei primi film.

Potremmo rimanere ore ad ascoltare le sue storie. Quello che ha fatto è parte della nostra vita.

Trevor Butterfield: Capisco quello che intendi. Nonostante per me all’epoca si trattasse di un lavoro come un altro non ci rendemmo conto del successo che avrebbe avuto. Eravamo soltanto 12-14 persone nel reparto costumi e siamo diventati grandi amici. Quando sono cominciate le convention abbiamo cominciato a incontrarci di nuovo e a ricordare i bei momenti passati.

Purtroppo anche noi stiamo invecchiando e qualcuno non è più tra noi. È sempre triste quando succedono cose del genere, come accaduto con David Prowse. Abbiamo fatto tante convention insieme a lui ed era sempre un piacere ritrovarsi con David.

Trevor Butterfield durante l’intervista.

Durante le riprese vi siete resi conto di quello che stavate creando e del tipo di cinema che stavate realizzando?

Trevor Butterfield: No, al tempo non ce ne rendemmo conto. All’epoca non c’era internet, finivi un film e ti buttavi a lavorare su un altro. I social media hanno reso ancora più celebri questi film. Non c’era neanche la cultura dei costumi, all’epoca se il tuo si rovinava o dovevi sostituire dei pezzi andavi nel reparto costumi e te li sostituivano, ma quelli rovinati li buttavano direttamente. Non avevamo la minima idea di quello che sarebbe diventato Star Wars, se qualcuno avesse avuto la malsana idea di recuperare quei pezzi dal cestino avrebbe potuto ricreare un costume da Stormtrooper dal valore di 200mila dollari.

Ora è tutto diverso, non puoi fare niente perché sei super controllato. Ad esempio quando ho lavorato a Harry Potter non potevo prendere niente dal set. Nell’82 invece a nessuno importava di queste cose, non c’erano telecamere. Nonostante ciò non ho mai pensato di rubare niente.

Hai mai incontrato David Bowie?

Trevor Butterfield: Sì l’ho incontrato, sul set di Labyrinth. Ha girato la sua parte e poi siamo andati al bar insieme, ho anche il suo autografo. Sembrava una persona comune a tutti gli altri.

Empira: Ho incontrato il creatore dei Goblin di Labyrinth a Lucca Comics and Games, è l’unico autografo che ho. Ma vorrei tanto quello di David Bowie.

Trevor Butterfield: Adesso che non è più tra noi, non potrà più farne quindi ha ancora più valore. Fu molto divertente lavorare a quel film, io fui coinvolto nella lavorazione agli effetti speciali per il grande mostro, credo si chiami Ambrosius. È il film preferito di mia figlia, che all’epoca aveva 5 anni, perché partecipò alla festa di fine riprese e ogni volta che lo riguarda le ricorda quel momento.

Qual è stata la peggiore esperienza sul set?

Trevor Butterfield: Lavorare con Sylvester Stallone, in Daylight: Trappola nel tunnel. Girammo il film a Roma, a Cinecittà, e per prima cosa il produttore ci disse “Non incrociate lo sguardo con Stallone”. Ma un giorno durante una scena Stallone doveva uscire dall’acqua ricoperto di fango. Non poteva essere fatta in CGI quindi mi chiesero di coprirlo con del fango vero, ma come fai a non guardare in faccia una persona mentre la stai coprendo di fango? Mi sentivo a disagio.

E qual è il momento che più preferisce della sua carriera?

Trevor Butterfield: Il migliore? Beh, ce ne sono davvero tanti… Mi è piaciuto molto lavorare in Harry Potter, specialmente la parte delle motociclette ne I Doni della Morte – ne avevamo sette, con i sidecar. Una era sospesa con dei cavi in aria, altre due avevano dei motori della Suzuki molto potenti all’interno, per gli stuntmen; potevano arrivare fino a 140 km/h, mentre le altre Royal Enfield erano più vecchie e più lente. A Leaves c’è una pista di atterraggio, e le portavamo lì per fare dei test. Inoltre, prima di essere uno studio cinematografico, lo stabile era nato per la costruzione dei motori Rolls Royce.

Non sono ancora andato a visitare gli Harry Potter Studios, avrei dei biglietti a disposizione ma con il lockdown non è stato possibile. Ho ancora il mio vecchio badge, ma le guardie potrebbero allontanarmi: “Il badge è datato, lei ha finito di lavorare qui dieci anni fa!”

Empira: Per lei sarebbe sicuramente interessante visitarli, e vedere il risultato del suo lavoro!

Trevor Butterfield: Certamente! Credo ci sia una placca in onore di chi ha lavorato alla saga.

Chissà perché Lucas e Disney non hanno pensato alla stessa idea per Star Wars… certo, hanno creato un parco di divertimenti, ma non è la stessa cosa. Tutti possono andare a un parco di divertimenti e divertirsi, ma gli Studios per un fan sarebbero un’esperienza completamente diversa.

Trevor Butterfield: Sì, poter visitare i set originali è un’esperienza unica.

Siamo giunti al termine dell’intervista, la ringraziamo infinitamente per aver condiviso la sua esperienza con noi!

Trevor Butterfield: È stato un piacere!

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