«Mio alleato è la Forza. E un potente alleato essa è…»
Ogni storia di successo plasma il gusto e l’immaginario comune. Star Wars, Star Trek, Indiana Jones, 007, la Compagnia dell’Anello, Harry Potter, Superman, Batman, gli Avengers e l’MCU, fanno parte della nostra mitologia contemporanea. G.R.R. Martin, autore della saga del Trono di Spade, ci ha parlato di come oggi produttori e sceneggiatori si lanciano bramosi su ricche proprietà intellettuali con l’intenzione di “farle proprie” e “svecchiarle”. L’attrattiva di queste “vecchie” storie sta nel nome, il prestigio, la presenza di personaggi amati, e di un consolidato pubblico di fans. Allora quando si compra a caro prezzo una licenza, un marchio, si compra un pubblico?
Ognuno di noi ha le sue avventure preferite, le più grandi attraversano confini e generazioni. Nella cultura occidentale di oggi Batman e Superman sono eroi popolari, un po’ come una volta c’erano Ulisse e Achille. Sono esempi che hanno contribuito a plasmare i nostri giovani e rappresentano un punto di riferimento per molti, in modo speciale i più fedeli appassionati. Per alcune di queste proprietà intellettuali si parla di tanti decenni di vita, in cui i fans sono invecchiati e si sono succedute le generazioni.
Per un appassionato/nerd dovrebbe essere naturale essere attratto dall’annuncio di un nuovo capitolo, una nuova serie. Conosco e ho amato l’originale, mi attirano i personaggi e l’ambientazione, e attraverso di loro sono pronto a vivere una nuova avventura.
Il ricordo di una di una storia memorabile e avvincente porta pubblico in sala. Si promette il nuovo capitolo di una saga amata, una nuova avventura ancora più grande.
Tuttavia avere un nome famoso alle spalle non significa successo automatico.
Cosa succede se la ricetta è diversa, il cuoco è cambiato, gli ingredienti sono di qualità inferiore e la torta non lievita?
Passato l’entusiasmo del momento al cinema o davanti al piccolo schermo, il prodotto lascia a desiderare. Più ci penso, più ne parlo coi miei amici, meno mi piace.
Quello che era partito come caso isolato è divenuto avvisaglia di un successivo trend; l’abbiamo registrato su più fronti nella nostra esperienza di pubblico. Questa è un’epoca di sequel, prequel, remake e (soft) reboot; è cosi da diversi anni, sempre più di prima.Gli eroi popolari e le loro saghe vanno e vengono, crescono nel favore della platea, o sbiadiscono fino a essere dimenticati. Il tempo passa, passano i modelli.A volte preferiamo dimenticare, perché l’ultimo capitolo ha cambiato in peggio i nostri eroi; c’è stata una caduta nella qualità e nello stile, un rovesciamento di temi e ideali. Le ragioni, penso, non stanno solo nel normale mutare delle stagioni e delle generazioni. Si è deciso dall’alto di cambiare i modelli per forzare il cambiamento dei tempi e rompere col passato.
«Lascia morire il passato. Uccidilo, se è necessario».
Uno spettatore navigato con un bagaglio di esperienza e cultura personale, ricorderà molte belle storie. Le più belle le tiene vicine al cuore. Sono i suoi punti di riferimento, come il Nord e il Sud. Cosa succede se l’ultimo, pubblicizzatissimo capitolo soffre il confronto coi precedenti? Abbatte pilastri dell’universo, avvilisce gli eroi del passato, è inconsistente o incoerente?
Storie di supereroi, avventure spaziali, saghe fantasy, dipingono mondi di fantasia da esplorare, ma come il nostro mondo hanno confini, limiti, armonia. Ogni bel gioco ha le sue regole. Incrinarle può sorprendere nell’immediato, ma svaluta storie e personaggi fino a mettere in pericolo la loro sopravvivenza. Essere fan di una saga o di una serie vuol dire ricordarla con piacere, entusiasmo, passione. Proprio i bei ricordi ci portano a sedere davanti allo schermo, a comprare il biglietto e pagare l’abbonamento. Ma oggi avere esperienza può diventare una colpa se impedisce di avvicinarsi al nuovo con incondizionata approvazione.
Spesso ci hanno invitato energicamente a tagliare col passato e accettare un reset, un retcon, una riscrittura. Il marketing pervasivo fatto di interviste, articoli e recensioni spende grandi risorse nel tentativo di persuadere, dirigere e governare il pubblico. Ma proprio mentre si pretende assenso, il marchio mostra le crepe. Guidata dal proprio senso critico, la gente reagisce alle decisioni più controverse della produzione con delusione e proteste a volte aspre. O semplicemente si disaffeziona e con tristezza cerca divertimento altrove.La platea si spacca, e dopo anni di spaccature e delusioni la fiducia è compromessa, e di pubblico ne rimane sempre meno.In tempi recenti i detentori dei grandi marchi di Hollywood hanno adottato spesso una postura conflittuale nelle relazioni con le loro fandom, con provocazioni, polemiche e accuse più o meno esplicite.
Allora forse in una società come la nostra il pubblico non si compra e non si conquista con la sopraffazione. Le storie migliori sono condivise con pazienza, rispetto, e spesso con umiltà. Alcuni dei più grandi romanzi moderni sono stati scritti a puntate sui giornali, e autori del calibro di Jules Verne e Charles Dickens tra un episodio e l’altro s’informavano sulle reazioni del pubblico perché volevano conoscerlo e incontrarne il gusto e il favore. Per lungo tempo questo è stato riconosciuto come il modo virtuoso di parlare a lettori e spettatori.
Le storie si condividono coi fans, si discutono tra amici. Nel momento in cui invece si usa una posizione di vantaggio col progetto di riscrivere a forza il gusto e rieducare il pubblico, si rischia di perdere una componente viva e importante della nostra libertà, e ci rimettiamo tutti.
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