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The High Republic – ecco un estratto del primo capitolo in italiano de La Luce dei Jedi

Ieri Panini Comics, tramite le storie Instagram, ha pubblicato un’anteprima del primo romanzo del progetto cartaceo denominato The High Republic (in italiano L’Alta Repubblica).

The High Republic – un primo estrato in attesa della pubblicazione italiana

Il romanzo, in arrivo il 22 aprile in Italia, è stato scritto da Charles Soule, uno degli autori più apprezzati dagli appassionati dell’Universo Espanso e uno degli autori più attivi e coinvolti nel nuovo canone.

La Luce dei Jedi sarà il primo romanzo ad essere pubblicato del nuovo progetto L’Alta Repubblica, le cui storie saranno ambientate circa 200 anni prima degli eventi a cui abbiamo assistito in Star Wars Episodio I – La Minaccia Fantasma, durante la cosiddetta Epoca d’Oro dell’Ordine Jedi nella quale i Cavalieri si trovano all’apice della loro storia. Nello specifico, La Luce dei Jedi avrà per protagonista Avar Kriss, una Maestra Jedi tra le più importanti all’interno dell’Ordine e che presta servizio nel cosiddetto Starlight Beacon, una enorme stazione spaziale collocata nell’Orlo Esterno che funge da centro operativo e di comunicazione.

Di seguito vi riportiamo l’anteprima rilasciata da Panini:

La Legacy Run era esattamente come voleva che fosse. Un piccolo mondo ben tenuto nelle lande desolate, una bolla calda, sicura, che teneva a distanza il vuoto. Non poteva garantire su cosa stesse aspettando quei coloni una volta arrivati nell’Orlo Esterno, ma poteva assicurarsi che vi arrivassero sani e salvi per scoprirlo.

Hedda tornò sul ponte, dove il Tenente Bowman scattò sull’attenti non appena la vide entrare.

“Capitano sul ponte”, disse lui, e gli altri ufficiali si raddrizzarono.

“Grazie, Jary”, rispose Hedda, mentre il suo secondo si faceva da parte e tornava al suo posto.

Hedda si sistemò sulla sua poltrona, controllando automaticamente i suoi schermi per trovare qualcosa fuori posto.

“Va tutto bene”, pensò lei.

KTANG. KTANG. KTANG. KTANG. Un allarme, rumoroso e insistente. Le luci del ponte passarono in configurazione d’emergenza: tutto era diventato rosso. Attraverso l’oblò principale, il vortice dell’iperspazio cambiò, in qualche modo. Forse era per le luci d’emergenza, ma aveva una… sfumatura rossastra. Sembrava… malaticcio.

Hedda sentì il suo battito accelerare. La sua mente entrò in modalità di combattimento senza nemmeno pensarci.

“Rapporto!”, sbraitò lei, i suoi occhi continuavano a osservare i suoi schermi per capire la fonte dell’allarme.

“Allarme generato dal navicomp, Capitano”, disse il navigatore, il Cadetto Kalwar, un giovane Quermian. “C’è qualcosa nella corsia iperspaziale. Davanti a noi. Enorme. Impatto tra dieci secondi”.

La voce del cadetto era salda, Hedda era fiera di lui. Forse non era tanto più vecchio di Serj.

Sapeva che era una situazione impossibile. Le corsie iperspaziali erano vuote. Il punto era proprio quello. Non sapeva il perché, ma sapeva che le collisioni a velocità della luce, in corsie stabilite, erano semplicemente impossibili. Era “matematicamente assurdo” a sentir parlare gli ingegneri.

Hedda aveva volato nello spazio profondo abbastanza a lungo da sapere che le cose impossibili accadevano di continuo, ogni dannato giorno. Sapeva anche che dieci secondi non erano nulla, vista la velocità a cui si muoveva la Legacy Run.

“Non ci si può fidare dell’iperspazio”, pensò lei.

Hedda Casset schiacciò due pulsanti sulla console di comando.

“Tenetevi forte”, disse lei, con voce calma. “Prendo il controllo”.

Due leve di pilotaggio sbucarono fuori dai braccioli della sedia del capitano e Hedda li afferrò, una per mano.

Inspirò e poi cominciò a pilotare.

La Legacy Run non era un Incom Z-24 Buzzbug, né uno dei nuovi Longbeam della Repubblica. Era in servizio da più di un secolo. Era un mercantile alla fine – se non oltre – della sua vita operativa, con motori progettati per lente e graduali accelerazioni e decelerazioni, caricato all’inverosimile e piena di strutture e attrezzature di carico orbitali. Era difficile da manovrare.

La Legacy Run non era una nave da guerra. Neanche lontanamente. Ma Hedda doveva pilotarla come se lo fosse.

Vide l’ostacolo sul loro cammino con l’occhio e l’istinto del pilota di caccia, lo vide avanzare a velocità incredibile, abbastanza grande da far disintegrare la sua nave in caso di impatto, riducendola in atomi, in polvere che sarebbe andata alla deriva per sempre attraverso le corsie iperspaziali. Non c’era tempo per evitarlo. La nave non poteva compiere la virata. Non c’era spazio e non c’era tempo.

Ma il Capitano Hedda Casset era al timone e non avrebbe fallito.

Con un piccolo tocco della leva di controllo sinistra e una rotazione più ampia con quella destra, la Legacy Run si spostò.

Più di quanto volesse, ma non meno di quanto il suo capitano ritenesse di poter fare. L’enorme mercantile scivolò oltre l’ostacolo sul loro cammino, con quella cosa così vicina al loro scafo che Hedda era sicura che avrebbe potuto scompigliarle i capelli nonostante i numerosi strati di metallo e scudi tra di loro.

Ma erano tutti vivi. Nessun impatto. La nave era sopravvissuta.

Una turbolenza. Hedda la combatté, avvertendo la rotta attraverso urti irregolari e onde, chiuse gli occhi, non aveva bisogno di vedere dove volare. La nave gemette, il suo telaio si lamentava.

“Puoi farcela, vecchia mia”, disse lei, a voce alta. “Siamo un paio di vecchiette e questo è certo, ma abbiamo ancora un bel po’ di tempo da vivere. Mi sono presa cura di te, sul serio, e lo sai. Non ti deluderò se tu non mi deluderai”.

Hedda non tradì la sua nave.

Fu lei a tradire Hedda.

Il gemito del metallo sovraccaricato diventò un urlo. Le vibrazioni del passaggio della nave nello spazio assunsero un nuovo timbro, timbro che Hedda aveva già sentito troppe volte prima. Era la sensazione di una nave che era andata oltre i propri limiti, che fossero i troppi danni subiti durante un combattimento o, come in questo caso, dovuti a una manovra che non poteva semplicemente fare.

La Legacy Run si stava per spezzare. Al massimo, le rimanevano pochi secondi.

Hedda aprì gli occhi. Lasciò le leve di controllo e toccò i comandi sulla sua console, attivando le schermature delle compartimentazioni che separavano ogni modulo di carico in caso di disastro, pensando che così potesse dare alle persone a bordo una possibilità. Pensò a Serj e ai suoi amici, che giocavano nell’area comune, e a come le porte d’emergenza si fossero chiuse all’entrata di ogni modulo dei passeggeri, forse intrappolando qualcuno in una zona che stava per diventare improvvisamente esposta al vuoto. Sperava che i bambini fossero tornati dalle loro famiglie al suono dell’allarme.

Non lo sapeva.

Non lo sapeva e basta.

Hedda fissò il primo ufficiale, che a sua volta la stava fissando, sapeva che stava per accadere. Lui la salutò.

“Capitano”, disse il Tenente Bowman, “è stato un…”

Il ponte si squarciò.

Hedda Casset morì, senza sapere se avesse salvato qualcuno o no.

Vi ricordiamo che i preordini sono disponibili sul sito di Panini Comics.

E voi siete in attesa per L’Alta Repubblica? Ditecelo nei commenti.

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